COSA? COSA STAVO DICENDO? E’ il titolo dell’incontro casuale con il sig. Giorgio – Racconti brevi a cura di Vins Tramontano

Mentre ero fermo ad aspettare un amico in piazza San Giovanni in Laterano, a Roma logicamente, si avvicina un vecchietto vispo e intraprendente, si ferma davanti a poca distanza, mi guarda al punto che noto la sua attenzione. E’ simpatico, gli chiedo come si chiama?

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Mi risponde: Lei è uno che non perde tempo, e mentre mi sorride, mi dice Giorgio e inizia a parlare: “Noi siamo cinque fratelli maschi, mio padre voleva una femminuccia, invece: primo parto maschio, secondo parto maschio, terzo parto maschio, quarto parto gemellare, altri due maschi. Si è arreso.
Secondo me ci stava vicino, ma non ci è riuscito. Mio padre da bambini ci ha detto: quando parlate della vostra famiglia, di vostro padre, di vostra madre, usate il plurale maestatis, in latino dell’antica Roma, usate il noi. Mio padre era un grande uomo. Pensi che io rispondo ancora con il linguaggio forte dell’insegnamento di mio padre: lei faccia quello che dice la legge, se lei lo farà noi non dimenticheremo e le renderemo onore, ma se non lo farà noi agiremo. Senta le voglio dire che noi siamo, ma per motivi di riservatezza i servizi, ma io lo dico perché ci credo, ci impediscono di riferire chi noi siamo e dove andiamo. Abbasso la voce, alla casba, pure loro abbassano la voce.
La gente chiede: ma lei che cosa fa? Che cosa ha fatto?

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Motivi di riservatezza. E’ un segreto professionale. Mai andare lisci, come nella briscola mettere un altro bel carico da undici.
Io mi diverto, però quando ultimamente ho usato questo linguaggio: alla domanda non possiamo rispondere, per motivi di riservatezza i servizi ci impediscono di riferire chi noi siamo e dove andiamo Loro chiedono ed io alla banalità delle loro domande ricorro a risposte altrettanto banali.
E poi mio padre ci ha insegnato il risorgimento italiano, ci ha detto delle chicche storiche. Pensi che a Roma il Papa era detto “il boia”, Mastro Titta quando mori nelle sue memorie lasciò scritto di aver eseguito cinquecentosedici esecuzioni per ordine del Papa.
Mameli è stato assassinato dall’esercito francese, da Napoleone III che dipendeva direttamente dal Papa, perché partecipò a Roma in una rivoluzione contro il crimine cattolico a Piazza del Popolo e Campo dei Fiori.
Le dico un’altra chicca storica. Vado all’università, mi conoscono. Al professore gli fa piacere, gli chiedo davanti agli alunni in modo forte: “E’ vero che Cavour fu richiamato dalla commissione della CEI di non fare di Roma la capitale di Italia, ma di fare di Roma la capitale dello stato Pontificio?”.
Rivolto agli alunni: professore mi appello a lei, dica la verità, Cavour stesso fu minacciato e Mameli a 20 anni fu assassinato a Porta San Pancrazio? Diffidate da coloro i quali vi insegnano di porgere l’altra guancia. Imparate una regola animale, dove regnano le regole animali.

Si accendono quando gli dico loro: “Con i lupi parlate da lupi”.
Quando sono andato via tutti gli alunni mi hanno battuto le mani.
Cosa? Cosa stavo dicendo?
Non a caso il dominio di Roma è durato 2300 anni. Roma antica è stata una delle più grandi civiltà del mondo, pochi lo sanno questo,
I romani sapevano imparare, da questo il detto Roma docet, insegna.
Roma è stata grande, una super potenza. Scipione detto l’Africano, generale romano quando fu sconfitto dal cartaginese Annibale, quello degli elefanti, perché voleva distruggere Roma e diventare padrone dell’impero.
Ebbene, ecco la differenza dei vecchi romani. Quando Scipione l’Africano fu sconfitto da Annibale, riunì lo stato maggiore, i generali e si fece descrivere come era avvenuta la battaglia. Poi si rivolse al senato romano e chiese un flotta per sbarcare a Cartagine.
Chi sa imparare dalla vita, va lontano. Chi non sa imparare sbatte continuamente.
Annibale non si aspettava mai una reazione romana. Scipione fece quello che Annibale non si poteva immaginare. Batterlo con la sua stessa tattica. Scipione l’Africano provocò Annibale al punto che lo invitò all’attacco, cosi vinse la battaglia nello stesso modo in cui l’aveva persa. Questa era la grandezza di Roma antica.
Cosa? Cosa stavo dicendo?

Un giorno mi telefonarono: “Giorgio ti hanno assegnato quello che tu hai chiesto”.
Ebbi una reazione telefonica, come il tifoso quando segna la sua squadra, eleva il suo grido, OOOOHHH. Feci un grido tipo cosi. E’ la tensione. Mai deludere l’interlocutore.
Allora lo traduco nel calcio perché si hanno subito chiare le teorie.
I grandi allenatori sono quelli che non se la prendono con l’arbitro perché hanno perso per banalità. Sono quelli che imparano dalle sconfitte a saper imparare. Io ne conobbi uno, si ammalò di tumore in vecchiaia. Lui fece la seconda guerra mondiale “poraccio” sul fronte russo con gli Stati Uniti, lo incontrai a Termini in uno stato pietoso. Gli chiesi: come va? Rispose: vado a morire Giorgio. Andava in Svizzera, perché in Italia era vietato. Quando si votò la legge sulla dolce morte, l’emendamento fu bocciato dalla maggioranza. La vita è sacra dicevano, non si possono aiutare le persone a morire.
Cosa? Cosa stavo dicendo?
Un insegnamento ai giovani. Quando parlate dei vostri genitori, della vostra famiglia, se lo meritano, non dire mai io singolare, dovete far capire che non siete soli, fate parte di un’organizzazione, usate sempre noi, plurale  maestatis, perché chi vi ascolta capisce immediatamente che non siete soli, fate parte di qualche cosa.
E li ci vado a nozze: motivi di riservatezza ci impediscono di dire chi siamo, cosa facciamo. Cosa? Cosa stavo dicendo?

Eravamo cinque fratelli, eravamo un’organizzazione, tutti sapevano che non scherzavamo. Dicevamo a tutti: “Lei faccia quello che deve fare. Se lo farà noi non dimenticheremo e le renderemo onore, ma se non lo farà noi agiremo di conseguenza”.
Mi dica, sta pensando questo è matto oppure è uno smemorato?
La saluto… è stato un piacere”.
Mentre si allontana lo saluto e lo ringrazio dubbioso: “CI FA O CI È?”
Comunque grazie sig. Giorgio

A cura di Vins Tramontano

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