Ucraina 2022. La storia in pericolo, a cura di F. Cardini, F. Mini e M. Montesano, Edizioni La Vela, Lucca 2022 – Recensione a cura di Andrea A. Ianniello

Poco dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio (di quest’anno), fu pubblicato un libro: AA,VV., Ucraina 2022. La storia in pericolo, a cura di F. Cardini, F. Mini e M. Montesano, Edizioni La Vela, Lucca 2022.

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Il libro si apre con la citazione, in esergo, di Giulietto Chiesa: “Quello che sta accadendo sotto i nostri occhi in Ucraina è l’inizio della terza guerra mondiale è l’offensiva degli Stati Uniti d’America e dell’Europa contro la Russia. (Giulietto Chiesa, 4 giugno 2015, A.P.R.M.)”, ivi, p. 5, corsivi in originale. Occorre, naturalmente, mettersi d’accordo su cosa significhi “terza guerra mondiale”, non le immagini che se ne forniscono. In tal senso (assai lato), tale guerra mondiale già è cominciata: nel 2014 … In ogni caso, che la “risposta” – del tutto attesa – dell’ “Occidente” all’invasione russa del 2022 sia un tentativo di “regime change” applicato alla Russia, è chiaro, per quanto, sinora, senza gran successo, almeno senza quel successo che si aspettavano (sbagliando di calcolo, ma questa è una ricorrenza risaputa nella storia: gli errori di calcolo …).
Tutto il sapido, succulento (e così a lungo covato, inacidito) livore dell’anti russianesimo, che non s’era potuto “sfogare” con “la fine del comunismo”, e che ha radici tanto profonde nell’ “Occidente”, può dunque (finalmente!) lasciar libero sfogo alla sua forza, così a lungo ed inutilmente trattenuta: qui siamo in presenza di un qualcosa non di episodico né temporaneo, ma di strutturale. I “fasti dell’anticomunismo” son tornati, con le “destre” vecchio “style” anch’esse ritornate: da manuale! Un excursus: a seguito delle sanzioni, ecco che il dollaro non è più la valuta globale, ergo dovranno trovarne un’altra … Ma il discorso, per quanto importantissimo – i cosiddetti “Brics” questo stan tentando – ci porterebbe fuori tema, e tuttavia, seppur indirettamente, si ricollega col tema in questione.
Negli ultimi tempi tuttavia, la politica di “regime change” pian piano sembra diminuire d’intensità, non tanto per il fallimento delle trappole delle sanzioni (delle, splendide, “auto sanzioni”), ma per l’evidente politica di “rilancio” ed escalation attuata da chi è oggi al potere in Ucraina, che stavolta, però, ha perso un po’ la faccia … Poi, che l’ “anti russianesimo” (detto altresì: “russofobia”, della quale tratta lungamente, dottamente F. Cardini nell’intervento iniziale del volume, intervento che ne costituisce un po’ “la chiave di lettura” d’insieme) sia tutt’altro che una “novità”, e che risalga per lo meno al XIX secolo, se non al XVIII secolo ed all’ascesa della Russia fra “le grandi potenze”, in realtà è più che chiaro: basti vedere la guerra in Crimea della metà del XIX secolo: l’intera Europa (in quel tempo l’America non aveva l’importanza che avrebbe assunto solo molto dopo) si coalizzò contro la Russia. Sembra che l’ “identità” europea si costruisca, de facto, contro la Russia. O, almeno, così vogliono certe forze, che in Europa dominano; e “destra o sinistra”, in tal senso, fa zero differenza.
Tra l’altro, il Regno di Sardegna vide in tale guerra ottocentesca una possibilità di promozione: anche questa “partecipazione italiana”, così “decisa”, non è, dunque, una novità. Nil sub sole novum. Alcuni dovrebbero riflettere, sempre che possano (o vogliano), sul fatto, ed è un fatto, che, senza la partecipazione del Regno di Sardegna alla guerra in Crimea del XIX secolo, quest’ultimo non si sarebbe potuto “sedere colle grandi potenze” (come al tempo usava dirsi) e, quindi, dopo, avere la possibilità effettiva di raggiungere la famosa “unità d’Italia”, cioè l’annessione, da parte del Regno di Sardegna, degli altri stati italiani, stati al tempo in grave crisi e privi di appoggi internazionali, quegli appoggi così decisivi nel mondo moderno ed oggi praticamente insuperabili. Senza questi appoggi non vai da nessuna parte oggi, l’attuale governo n’è l’attestazione “al di là di ogni ragionevole dubbio”, per citare i telefilm (ovviamente americani, chiaro) … Dunque pare che anche l’ “identità” italiana – per quanto sia essa nulla e debole – si costruisca contro la Russia: il che fa capire tante cose, anche del presente; basta soltanto ricollegare tutti i puntini…

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Ma veniamo al titolo, precisando che qui ci si soffermerà solo su due degli interventi presenti nel testo, lasciando al lettore la voglia, se ne avrà, di scoprirne altri. Gli interventi qui citati, dunque, non è affatto detto che siano i migliori o i più interessanti, son solo quelli che più hanno interessato il recensore, niente di più, niente di meno.
Che cosa vuol dire, dunque, il sottotitolo: “La storia in pericolo”? La tesi che accomuna tutti gli interventi è appunto questa: il pericolo che avvertono tutti gli autori che hanno collaborato sta nel fatto che la storia della guerra in Ucraina venga vista solo attraverso le lenti distorcenti della propaganda; in sostanza questo è il punto chiave. Tale tesi di base viene ulteriormente chiarita nell’intervento introduttivo (a firma di F. Cardini, e, come si diceva, trattasi della chiave di volta interpretativa dell’intero volume). Cardini parte dalla “strana guerra” dell’inizio del Secondo Conflitto Mondiale, fronte occidentale. Sul cosiddetto blitzkrieg, il quale sarebbe stato fatto all’inizio dell’attuale guerra in Ucraina, ed al quale lo stesso Cardini si dà, cfr. p. 16, stendo un pietoso velo: il blitzkrieg non si fa come han fatto i russi all’inizio della spedizione, quasi “telefonando” il loro arrivo a Kiev! V’immaginate voi Hitler che pian piano si avvicinava alle forze francesi, facendosi vedere …? Quasi avvertendo? Ridicolo! Ma proprio su tali “visioni errate” si è costruita la narrazione occidentale della guerra in Ucraina (magari vi sarà un’altra occasione per spiegare cosa sia, davvero, la “guerra lampo”, il blitzkrieg: ma, di certo, non è quel che hanno fatto i russi a Kiev). Nella stessa pagina, invece, Cardini argomenta sulla possibile “trappola” che Washington ha giocato a Mosca, usando l’Ucraina come strumento. Qui siamo, invece, nel plausibile, ma la discussione sui possibili errori di Putin rimane, per Cardini, aperta, cfr. p. 18. Tutto ciò è plausibile, tutto questo è buon senso, ma, di nuovo, perché la storia sarebbe in pericolo? Perché, in realtà, la guerra è “annunciata”, cfr. p. 35 e sgg. (ma non solo da parte americana è annunciata, si veda Vladìmir Žirinovskij che ne annuncia la data con due soli giorni d’errore), e le “spiegazioni” che ne vengono date tendono sempre ad omettere questo punto. Ecco perché “la” storia è in pericolo, non solo “una” storia o determinati eventi specifici. È il modo di “fare storia” che, oggi, è in pericolo, secondo gli autori. Capito questo punto, centrale, veniamo così a quegli interventi, due, cui, per un qualche motivo, chi scrive ha prestato più “orecchio”, prima, però, questo aggiungerebbe (sempre chi scrive), cioè che non è la storia “in pericolo”, ma la storia è pericolante, nel senso di cadente, fatiscente, sul punto di crollare.
Gli interventi si dividono in due categorie, sostanzialmente: quelli sul tema specifico (la guerra in Ucraina) e quelli più generali, più attinenti al titolo e al programma che i curatori si son dati ed hanno dato a chi ha voluto collaborar con loro. Scelgo d’occuparmi della seconda categoria, e, all’interno di quest’ultima, trascelgo ancora due degli interventi; come detto, si tratta solo di un “assaggio”, invitando il lettore interessato ad approfondir lui, direttamente confrontandosi così con i temi esposti. Pertanto, quello di chi qui scrive non è che “un punto di vista”, fra degli altri. Ma si ritornerà sulla “quasi unanimità” riguardo a tale guerra, che non è certo il fattore meno importante da sottolinearsi. Voglio anche ricordare il volumetto dello stesso Cardini sul “Caso Ariel Toaff” che, a parte alcune considerazioni anche critiche su Toaff, si focalizzava sulla tendenza al conformismo negli studi: era il 2007, le cose non hanno fatto che peggiorare.
Il primo intervento che vorrei commentare… 👇

Il primo intervento che vorrei commentare, molto brevemente, qui è quello di Cacciari, dal titolo: “Tre grandi imperi trattino la pace”, cfr. ivi, pp. 161-163. Bene, che in qualche modo si dovrà giungere ad un qualche compromesso è una possibilità reale, per quanto questa guerra in effetti abbia come scopo – non dichiarato – proprio quello di riassestare tali “equilibri” fra quelli che Cacciari chiama “Tre grandi imperi”, ed è il punto che vorrei commentare. Prima cosa: non sono “imperi”, nel senso classico. Cosa sono, allora? Imperialismi, nel senso moderno … Un imperialismo declinate, quello americano, ma che, ferocemente, aggressivamente – come il grizzly che, secondo Th. Roosevelt (gran cacciatore), era il vero simbolo dell’ “America”, “non quella ridicola aquila”, diceva – non vuol lasciare un minimo spazio ad alcun altro (ed era ovvio); un imperialismo ferito che cerca di esser riammesso nel novero delle “grandi potenza”, il revanscismo russo di Putin; e l’imperialismo cinese, molto diverso dagli altri due, molto diverso. Non è il caso qui di approfondire tale “differenza”, ma soltanto di puntualizzare due cose: 1) se non partiamo dal fatto che son imperialismi e non “imperi”, non andiamo molto lontano (tra l’altro, le difficoltà nel trattare fra loro conferma che son imperialismi e non imperi: per definizione, gli imperi trattano con gli altri imperi perché si riconoscono reciprocamente, se falliscono le trattative, allora tentanto di annettersi o sconfiggersi); 2) questi imperialismi – tutti, anche se a livelli e con gradi differenti – son deboli, anche quello americano è debole. Perché? Perché tutti e tre gli imperialismi devono far fronte ad una crisi mondiale sistemica, ma non sanno rispondere ad essa, non lo sanno veramente.
Il secondo intervento sul quale vorrei gettare un minimo di attenzione, senza per questo negare altri interventi (ma, come s’è detto, ad essi riamando il lettore: in particolare segnalo, sullo specifico della questione, l’intervento di R. Mancini su “La paura della Russia dal Settecento agli anni Duemila”, cfr. ivi, pp. 188-202), è quello di Moni Ovadia: “Maccartismo all’italienne”, cfr. ivi, pp. 283-287. Questo “maccartismo di ritorno”, che si è sviluppato in Italia (dove anche chi semplicemente chiedeva un approccio “critico”, cioè normale, in pratica è stato ostracizzato, e si è visto come l’ “interdetto” ha colpito anche autori letterari russi famosi, che non c’entrano direttamente nulla con la questione), questo “maccartismo di ritorno” è stata davvero la cosa più notevole dell’intero “affaire”, se vogliamo parlare, in modo serio, del “fare storia” e della visione critica. Ovadia ripercorre le vicende ultime, criticando quella che chiama l’ “omologazione”, ivi, p. 284. Prima, però, aveva ricordato un aneddoto talmudico, gustosissimo, al quale rimando il lettore, cfr. ivi, pp. 283-284. Il Talmùd (parola che vuol dire “Studio”) si studia in due, con un contraddittorio, facendo delle obiezioni. La contraddizione muove il mondo, non l’unanimità. Ora, però a parte le considerazioni di Ovadia sulla guerra e la pace (che si riferiscono al problema “guerra in Ucraina”), personalmente penso che la tendenza, le cui avvisaglie vi erano da tempo, tendenza sistemica di fronte alla crisi del sistema stesso, sia quella di voler spingere sempre di più verso l’unanimità; questo è molto chiaro.

Andrea A. Ianniello

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